6 settembre 2008

di oche, more e sassi

Ieri sera sono stata allo stagno. Sì, ci sono ritornata, lo so, ti avevo promesso che saremmo andati insieme. L’ultima volta non me l’hai perdonata la vittoria al lancio dei sassi, ma te lo avevo detto che son brava. Io fisso il punto, chiudo gli occhi e tiro. Già, chiudo gli occhi, se li tengo aperti, iniziano a venirmi le vertigini, l’acqua diventa come un mulinello, poi parte l’immaginazione e chissà dove va a finire quel sasso. Quella volta doveva arrivare proprio in quel punto, più lontano possibile dal tuo, quando ho chiuso gli occhi sapevo quel che facevo. C’era una forza in quel tiro che neppure io mi aspettavo, ho le braccia così deboli, eppure, ecco il mio sasso che supera il tuo, che supera la riva opposta dello stagno, saluta l’oca e salta la siepe di more e… e chissà dov’era finito. Sono tornata proprio per cercarlo, anche se avevo gli occhi chiusi me lo ricordo bene quel sasso, sai? Un sasso pentagonale verde oliva impastato di grigio, mi era quasi dispiaciuto lanciarlo. Un assaggio di more, una passeggiata lungo il lago e poi, poi ritrovo il sasso. Puoi crederci era proprio il mio sasso, l’ho raccolto e l’ho stretto in mano e, senza pensarci troppo, ho saltato sul filo dell’acqua. Non so come ci sia riuscita,ma l’ho fatto, senza che i piedi si immergessero, solo uno sfiorar della pianta sul filo dell’acqua dello stagno. Come il sasso, ho superato la sponda, ho salutato l’oca, ho saltato la siepe e adesso so dov’era finito. Porterò anche te la prossima volta, te lo prometto, c’è già una sera d’estate al chiaro di luna che chiede di te

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