16 agosto 2014

Le sottrazioni non sono il mio forte





Un viaggio inizia nelle intenzioni, e nel coraggio di aprire l’armadio e fare la valigia. Ché ci vuole coraggio ad aprire un armadio, se sei come me, nell’armadio non ci trovi solo i vestiti, ma anche uno scatolo con una grossa fragola sopra e tanti piccoli pezzi di vita dentro. Di notte, sospetto che oltre ai vestiti e alla scatola con l’enorme fragola ci viva anche un mostriciattolo che non voglio nemmeno immaginare ché se no mi spavento. Ma non è per il mostriciattolo né per lo scatolo che ci vuole coraggio. Il coraggio sta nel fatto che fare la valigia ti ricorda tutte le volte che devi decidere cosa tenere e cosa lasciare andare. A questo non posso rinunciare! Oh, però, quell’altra cosa lì è troppo carina per restare a casa… Se portassi anche questo? Se faccio spazio ci sta! E lo spazio, in ogni valigia che si rispetti, non è mai abbastanza, nemmeno quando pensi che con la magia potresti fare grandi cose: l’unica cosa grande che ti rimane è un punto interrogativo piantato in testa. No, tutto, tutto non ci sta! Allora devi scegliere e di quel tutto devi infilare quel qualcosa che davvero vuoi portare con te e senza cui quel viaggio non sarebbe proprio il tuo viaggio. Allora lì entra in gioco la matematica che proprio un gioco non è e inizi a scoprirti più bravo di Einstein, quando a scuola in matematica riuscivi appena a salvarti con la seconda interrogazione salva tutti. Io ero tra quelli che ce la facevano     un soffio prima dell’esposizione dei quadri, se fossero stati di Mirò, quei quadri, di sicuro avrei fatto di tutto per entrarci il prima possibile, più in forma che mai. Invece no e nella riga dedicata alla matematica io ci entravo proprio all’ultimo minuto. Sarà per questo che anche la mia valigia è una valigia dell’ultimo minuto, sarà che per fare una valigia che funzioni si deve essere un asso nelle sottrazioni, sarà che a me l’asso tutto solo e so tutto io non è mai piaciuto, sarà tutto questo e un sacco di altre cose, ma la mia valigia non è mai una valigia di quelle che funziona. La mia valigia è buffa, i vestiti sono sistemati secondo una logica tutta mia che, nonostante i miei successi in logica – perché la matematica non era il mio forte, ma in logica ero una forza – Aristotele sarebbe sbiancato nel vedere il pigiama con il ranocchio che si incastra con il telo mare e la canotta nera… trova un senso a questa composizione: non c’è. La mia valigia racconta tutta la difficoltà di decidere cosa lasciare andare e i tentativi di infilare tutto all’ultimo momento – altrimenti non ti spiegheresti mai i calzini spaiati che saltano fuori come ranocchi. Saltano soltanto quando la valigia è chiusa, quando la apro tornano sul pigiama – Puf! La mia valigia, e la faccio finita altrimenti mi finisci tu, porta il peso di tutto il coraggio che ci vuole ad aprire un armadio e, nello stesso tempo, tutta la forza delle intenzioni di partire che ogni volta vincono su tutto, anche sull’ira di Aristotele e sulla paura per il mostriciattolo nell’armadio che, poi, è solo un modo per non dire quello di cui ho davvero paura.

 


"I'd rather be a comma than a full stop" (... e se mi conosci davvero lo sai)

5 agosto 2014

Furti segreti, spudoratamente dichiarati

Ché in quello che cerchi per davvero, prima o poi, c' inciampi, anche quando pensi di averlo dimenticato

Sì, ho rubato! Quando una cosa si fa, bisogna dirla. Mica sempre! Shhh… non diciamo cose così che se no ci prendono la mano. Chi? Un po’ tutti, tranne me che ho l’impressione di averla persa la mano, da quando ho smesso di scrivere. Quanto è passato? Non lo so, ma è di sicuro troppo tempo. Quindi? Quindi, ecco perché sto rubando. Cosa? Un pensiero, un’immagine, una canzone e anche un computer ché il mio ce l’hanno in ostaggio e non me lo vogliono rendere. Il pensiero a chi lo hai preso? Fai troppe domande! Zitto tu, personaggio invisibile inventato per farmi dire le cose in un modo un po’ meno più. Ci siamo capiti. Io e te, che poi sarei sempre io. Va be’…
I pensieri si prendono dove ti pare, se ti pare, anche sull’etichetta della birra, stacchi qualche lettera, ci incolli qualche numero, stappi, ascolti la birra che fa frrr – usa l’immaginazione – poi dai un bacio alla bottiglia e te la bevi. Un bacio senza lingua, è chiaro! La birra, invece, la vorrei scura. Uguale, uguale, al pensiero che ho rubato. Che, poi, alla fine, mica me la sono bevuta.
La canzone viene da quel lontano mai troppo distante da dimenticarlo del tutto.
Sull’immagine ho barato. Non ce l’ho. Una ce l’avrei anche, ma non so ancora come si fa a fotografare quello che si vede ad occhi chiusi. La troverò? Suspance!
Sul computer lascerei un po’ di mistero, se riesco a metterlo dove l’ho trovato, nessuno se ne accorge e l’ho fatta franca!
Francamente, rileggendo tutto quello che ho scritto fino a qui, mi chiedo se sei ancora con me o sei ormai lontano. Se non ci sei più, posso capire, probabilmente, dopo aver pensato: Di’ la verità, la birra non era solo una, eh?, sarei andata via fischiettando la canzoncina che ho rubato, l’avrei tenuta per me reinventando le parole. Come adesso, che ritrovo una parola in un’immagine. L’ho scritta io, e penso che le parole restano tue, anche quando tutto il resto non c’è, soprattutto quando gli occhi sono bene aperti e proprio non se ne parla di rubare.