31 dicembre 2013

Un mare nero nero che non è un mare, ma un cielo, sempre nero nero, forse no.




C’è un mare nero nero. Non è un mare, ma è nero. Non è nero, ma è. C’è tutto questo cielo scuro che sembra mare per quanto scuote e muove in questa notte nera nera come l’onda che solca la superficie, come una carezza segreta. Come tutte le volte che nascondo qualcosa per te nel palmo della mano chiusa, tra le ciglia degli occhi che ti trattengono, tra le labbra che lasciano scivolare le parole pur di non dirle. C’è qualcosa, ci dev’essere qualcosa per tutta questa pece che impasta e nega il volo. Qualcuno non ci sta. E nuota, nuota in quel mare nero nero, e vola. Vola in quel cielo come fosse mare, come fosse amore anche se non, anche se forse, anche se. Tutto è, come in quel mare, come in quel cielo. Tra le mani e la ciglia chiuse, tra tutte le parole che scivolano via, tra noi che le ripeschiamo a testa in giù. Un tuffo, un volo, un appuntamento che ancora non sappiamo di avere. Solo una volta, solo noi.


15 dicembre 2013

spazio #2


Nebulose, Ernesto Morales


Lo so. Non so, non tutto, ma qualcosa so. Per esempio so riconoscere una notte che mi somiglia. So che una distanza se non c’è s’inventa, se c’è per davvero si fa finta di non vederla, qualche volta. E so che quando si ha paura le buone ragioni hanno sempre la meglio. Meglio che tiri su il cappuccio ché il freddo quasi mi scopre. Scopro sempre troppo tardi qualcosa che avrei dovuto sapere o faccio come si fa qualche volta con la distanza: faccio finta di non vederla. In una notte come questa, in un istante che posso ancora riconoscere, in un punto esatto della mia vita ho detto una bugia. E lo sapevo, quella volta lo sapevo. 


10 novembre 2013

Non ho sonno!

... mi scuso per lo scarabocchio

«Non ho sonno!» disse, a gran voce, un ciuffetto scompigliato che veniva fuori dalle coperte.
«Se dormo mi perdo il mondo!» ribadì sempre lo stesso ciuffetto insieme a due grandi occhi spalancati.
Dopo la protesta, il silenzio. Il ciuffetto e gli occhi curiosi vennero fuori dalle coperte per vedere cosa stesse accadendo.
«Mamma, perché chiudi gli occhi?»
«Perché se li tengo sempre aperti, mi perdo l’altra parte del mondo».
«E cosa c’è nell’altra parte del mondo?»
«Shhh… ho appena visto un elfo inseguire una nuvola di zucchero filato. Ecco, quasi l’ha quasi raggiunta. Oh, che svelta la farfalla, gliel’ha soffiata sotto il nasone rosso. Lasciami tenere gli occhi chiusi, lasciami sognare. Nei sogni accade quello che nel mondo non sempre può accadere».
«Come fai a vedere tutte quelle cose? Anch’io voglio vederle, proprio come te! Voglio sognare tutto quello che c’è e anche quello che non c’è», il ciuffetto affondava nel cuscino come se volesse scomparire e gli occhietti non sembravano più tanto convinti di voler restare spalancati.
«Se nel mondo dei sogni vuoi viaggiare, allora devi dormire.»
Dormire? Il ciuffetto guardò la mamma con sospetto e, dopo averci pensato un po', chiuse gli occhi, dicendo:«Se proprio devo dormire, dormirò, ma a far bei sogni mai rinuncerò!»


9 novembre 2013

cerchi nell'acqua

Marcela Bolívar



Le impressioni che disegnano il tempo che non c’è  hanno il tratto lieve delle dita che implorano l’acqua di farsi ricordare. I luoghi e gli odori si adagiano sul giaciglio del silenzio e la pelle cerca i segni che sa di non aver lasciato andare. Cicatrici bianche, attese e presenze confuse tra necessità e nostalgia. Malinconie in giorni di nebbia che negano al sole l’accesso all’animo. Impressioni che seguono la vibrazione di un cerchio disegnato nell’acqua. Non troppo vicine, mai così distanti.






"provo a spiegarmi
ma sbaglio tutte le parole
l'acqua mi trascina via"

[Sere d'acqua, Erica Mou

19 ottobre 2013

ghirigori

Julio Ojea



Tutto ritorna. Qui, in questa sera d’autunno scevra di menzogna. Torna tra le note di una canzone che non mi appartiene, ricordo d’averla rubata a una storia che distillava immagini sfocate prima di dissolversi in una sera come questa. Come tutte le volte che riconosci tra i fotogrammi di una giornata uguale a tante la tua giornata. Tornano le attese, le smorfie prima della sorpresa, le mani che cercano qualcosa da torturare per fuggire un intreccio indistricabile, le labbra calde che fendono il gelo della sera. Tornano gli occhi, ma quelli non vanno mai via. Tornano tutti i buoni propositi traditi dall’assenza e quegli attimi a cui sembra che il tempo abbia concesso la negazione dell’oblio. Tutto torna, qualche volta. Qualche altra no.


23 settembre 2013

venerdì


è che il tempo mi piace catturarlo con gli occhi
... e anche con la fotocamera

Frugo in tasche che penso vuote e trovo pezzi di appuntamenti perduti. Accarezzo un polso che fugge il cappio dell’orologio, mi do un morso e con una mina, intinta nel blu, traccio due frecce e due numeri. Sono distanti, si rincorrono, sanno che si ritroveranno al prossimo giro. Intanto fuggono, mentre i segni del morso si dissolvono e le frecce sbiadiscono, come tutte le intenzioni vinte dal timore. Insieme agli appuntamenti perduti e a tutti i venerdì che non chiedono d’esser ritrovati. Le mani frugano ancora. Girano e rigirano tra i pezzi di appuntamenti ormai smarriti di cui ho le tasche piene, per la verità. Che poi non è mai una sola e non è mai la stessa. Che poi, a guardarlo bene quell’orologio strappato tra un morso e una linea d’inchiostro, non è che credo abbia proprio tutte le rotelle a posto. Fa compagnia al venerdì, a un’ora qualunque, in un posto che sarebbe quello giusto anche se fosse di giovedì, in una tasca piena di pezzi di vite e di prossimi giri e capogiri di direzioni confuse e fughe. E giorni che sono sempre gli stessi, bevuti al sole caldo di una giornata di settembre mascherata d’agosto, una di quelle giornate in cui non c’è nulla di più logico da fare che dare i numeri. E non sono mai quelli che s’incontreranno alla fine della corsa e non sono mai quelli per cui, quella corsa, hai deciso di correrla fino in fondo.