23 settembre 2013

venerdì


è che il tempo mi piace catturarlo con gli occhi
... e anche con la fotocamera

Frugo in tasche che penso vuote e trovo pezzi di appuntamenti perduti. Accarezzo un polso che fugge il cappio dell’orologio, mi do un morso e con una mina, intinta nel blu, traccio due frecce e due numeri. Sono distanti, si rincorrono, sanno che si ritroveranno al prossimo giro. Intanto fuggono, mentre i segni del morso si dissolvono e le frecce sbiadiscono, come tutte le intenzioni vinte dal timore. Insieme agli appuntamenti perduti e a tutti i venerdì che non chiedono d’esser ritrovati. Le mani frugano ancora. Girano e rigirano tra i pezzi di appuntamenti ormai smarriti di cui ho le tasche piene, per la verità. Che poi non è mai una sola e non è mai la stessa. Che poi, a guardarlo bene quell’orologio strappato tra un morso e una linea d’inchiostro, non è che credo abbia proprio tutte le rotelle a posto. Fa compagnia al venerdì, a un’ora qualunque, in un posto che sarebbe quello giusto anche se fosse di giovedì, in una tasca piena di pezzi di vite e di prossimi giri e capogiri di direzioni confuse e fughe. E giorni che sono sempre gli stessi, bevuti al sole caldo di una giornata di settembre mascherata d’agosto, una di quelle giornate in cui non c’è nulla di più logico da fare che dare i numeri. E non sono mai quelli che s’incontreranno alla fine della corsa e non sono mai quelli per cui, quella corsa, hai deciso di correrla fino in fondo. 



11 settembre 2013

garbugli


per l'immagine ringrazio il mio fido cellulare 2 megapixel che non mi abbandona mai


È curioso come le attese alla stazione qualche volta siano più travolgenti di un treno in corsa. Sei lì e nemmeno te ne accorgi che un treno alta velocità è passato e ti ha ingarbugliato i capelli. Hai lo sguardo smarrito nella ricerca di qualcosa che ancora non sai, così il treno passa, tu aggiusti i capelli e continui a cercare. Trovi sempre qualcosa in un abbraccio, nel vento che soffia come quel giorno o quell’altro, in due occhi che non ne lasciano andare altri due incollati al secondo finestrino della carrozza numero sei, in una mano che fa per salutare, ma poi no. Bastano uno sguardo, un sospiro e due spalle che si raggomitolano con l’illusione che toccandosi possano preservare il cuore. Aspetti. E i pensieri sono come i capelli appena dopo la sfrecciata del treno sulle rotaie: ingarbugliati, di quei garbugli che nemmeno con tutta la pazienza di questo mondo riusciresti a dipanare. Eppure, aspetti. E la pazienza arriva proprio nel momento in cui perdi di vista il tempo, l’hai lasciato sulla panchina accanto al binario uno e non l’hai più trovato. Non ti serve più, stai aspettando e l’unica cosa di cui hai bisogno è un cuore che se ne frega che tutto è fermo, spinge e non fa che accelerare. Ché lui proprio non ce la fa a quietarsi sul bordo di un binario, e muove gli occhi, le mani, le gambe, muove tutto quel che c’è da muovere tra l’attimo in cui sei arrivato e quello in cui sai che stai per andar via. E quel momento arriva sempre. Dentro o fuori. Ritrovi il tempo, ti giri e c’è sempre qualcosa che lascerai nell’istante in cui volterai le spalle, l’attesa è finita e non è più importante quello che stavi cercando. Fino alla prossima attesa, fino a quando il tempo sgattaiolerà di nuovo e tu farai finta di non vederlo.


1 settembre 2013

I pensieri della domenica dovrebbero cancellarli con il bianchetto




Immagine di Nick Fante

Le vite sono strade, e incontri, e pezzi di te che ti ricordano che quello che sei non è proprio tutto quello che sai. Così in un giorno di pioggia ho trovato te. No, no, niente gattini bagnati o cose così. C’eri tu, nel bel mezzo di un temporale di novembre e c’ero io che ero appena uscita da una di quelle tempeste che quando arrivano chiudi gli occhi e speri che passino il prima possibile. La mia stava passando proprio in quel momento, tra la pioggia che m’inzuppava e te che c’eri, anche se non eri un gattino bagnato. Te lo ricordi come pioveva? A pensarci bene, tutte le volte che succede una magia c’è la pioggia… va be’, non proprio tutte le volte perché qualche magia accade anche d’estate e non è che d’estate piova sempre. Una volta, perché adesso l’estate potrebbe anche assomigliare a un rubinetto che sgocciola, infischiandosene di te che hai sonno e vuoi dormire. Be’, speriamo di no, speriamo che l'estate sgocciolona sia un caso. Non a caso, quel giorno pioveva e a me piace così. Quindi, quindi, che dicevo? Che le vite sono strade e che la mia è scivolata sulla tua mentre pioveva. Una vera e propria sgommata, una di quelle che se prendi qualcuno che passa di lì, altro che pioggia, gli tiri addosso un gavettone che nemmeno la notte di San Lorenzo al mare ne fanno di così grossi. Da quant’è che non vedi una stella cadente? Da quant’è che non la cerchi? Da quant’è che non l’aspetti? Aspetta, non dirlo: faccio troppe domande! Lo so. Lo sai che una volta qualcuno mi ha anche detto che do troppe risposte? Non lo sai. Lo so, ma è solo perché… No, non lo so, ma mica posso sapere tutti i perché! Le vite sono incontri. O scontri o veri e propri schianti con tanto di corsa al pronto soccorso con tutti i se ce la faccio stavolta, non lo faccio più, se riesco a spuntarla, la prossima volta sto attento. La prossima volta, e questa? Questa volta è andata così: io e te ci siamo incontrati in un giorno di pioggia, ci siamo inzuppati, ma questa cosa non sembrava darci troppa noia, ci siamo scambiati qualche pezzo, poi ce li siamo anche voluti restituire, ma non è che certi pezzi si possano rendere, ti restano incollati addosso e non se ne vanno più e quando li ritrovi pensi: ehi, io questo prima non ce l’avevo! Così, lo guardi, ti guardi e ti trovi uguale e diverso, vicino e distante: tu, con qualche pezzo in più e qualcuno in meno. e pezzi di te che ti ricordano che quello che sei non è proprio tutto quello che sai. La sai una cosa? Anche se adesso non ci sei, anche se vorrei che ci fossi e non ci fossi insieme (cose complicate, da me) penso proprio che tutti quei pezzi di te che mi hai incollato addosso io non te li restituirò mai. Sono miei, sono me. E tu? Tu sei un po’ di me senza me. Insomma, a guardarci bene sembriamo Pongo e Peggy. Te l’avevo detto che non eri un gattino bagnato. Bau!




E se in una sera di novembre,
mentre la pioggia t’inzupperà
e tu la lascerai fare,
ti ricorderai di me
allora cercami
in un pezzo di me che ho lasciato a te.
E trovami,
tutte le volte che penserai
che la pioggia non ti basterà più.
 
 


[La U2 version di "With or without you" resta la mia preferita, ma questa era più da pensieri della domenica da cancellare con il bianchetto]