31 luglio 2012

semiseriamente


La realtà delle cose, Alessandro Pizzo


Ho sempre meno bisogno di cose. Non ne ho mai avuto troppo bisogno, ma ora ne ho ancora meno. Credo arriverà il tempo in cui non avrò bisogno nemmeno più di un corpo.
Io sono quello che sento, che penso, che sogno. Sono poco quello che tocco, quasi nulla. In una vita passata devo essere stata qualcosa che non si può toccare, forse ero un sentimento o una melodia. Se proprio devo esser stata qualcosa che si può toccare sarò stata una matita, un acquerello, un tubetto di tempera, un carboncino. Un colore: rosso. Per tutte quelle cose rosse che ho perso, per quelle che ho incontrato per un po’, per quelle che non ho ancora incontrato e per quelle che non incontrerò mai. Io con i “mai” non credo farò mai amicizia. Io non voglio farci amicizia. Non voglio tante cose. Tra le cose che non voglio non ce n’è nemmeno una che non possa permettermi. Le cose che non puoi permetterti non sei tu a non volerle. Non scegli tu. E chi sceglie? Non lo so, ma non tu! Se dico: “non lo voglio!”, lo dico con convinzione, la stessa che ci vuole per indossare un boa di struzzo. Quando non sarò più un corpo nemmeno mi servirà un boa di struzzo, però tengo la convinzione, quella sì. Quante cose non voglio? Tante, una di queste è non farmi piacere ciò che non mi piace, per esempio i cerchi. Non mi piaceranno mai! - ecco un’altra volta il “mai”, ma chissene –. Posso fare solo qualche eccezione, dunque, vediamo… quelli di Kandinskij, sì. Il cerchio di Giotto è in equilibrio tra il mi piace e il non mi piace. È caduto! Dalla parte giusta, credo. Non mi piace il brodo, per questo mangio tutto con la forchetta. Quando l’ho confidato alla tizia del ristorante vegetariano mi ha detto: «Oh, abbiamo un altro cliente che mangia tutto con il cucchiaio». Ho pensato che mi sarebbe piaciuto conoscerlo e invitarlo a pranzo, ci saremmo capiti tra i denti o nel riflesso della conchetta d’argento. Non mi piacciono le omissioni, hanno lo stesso cattivo odore delle bugie: puzzano! Come le mele marce o l’uovo dimenticato nel frigo vuoto di certe domeniche che devono passare in fretta e, invece, non passano mai. Non mi piace la pasta al burro, ma questa storia qui è troppo lunga da raccontare. Facciamo che per adesso vi accontentate di sapere che non mi piace, senza sapere perché. Mi piace chiedere perché, anche troppo, anche se la “r” qualche volta inciampa un po’. Mi piace tanto, infinitamente, immensamente… mi sto disintossicando. Prima o poi bisogna farlo, i “perché” e la vita non fanno amicizia, non la faranno mai, un po’ come me e i cerchi. Allora, cosa fai? Ti disintossichi dai "perché", perché dalla vita non puoi disintossicarti.
– Ho appena incominciato, non sono fuori dal vortice dei perché, ci sto lavorando semiseriamente -
Non voglio continuare questa lista di cose che non voglio che mi piacciano, anche perché l’unica persona che potrebbe capirmi, il tizio che mangia tutto con il cucchiaio, io non l’ho ancora incontrato. Forse è tra le cose rosse che non incontrerò mai o tra quelle che devo ancora incontrare. Fatto sta che io, in quel ristorante vegetariano, non ci sono più tornata che mica lo so se poi lo voglio davvero qualcuno che mi capisca tanto bene da sapere perché mangio tutto con la forchetta. Nessuno vuole qualcuno che lo smascheri, così si scappa, come sto scappando io dal possibile disvelatore del mio segreto della forchetta. E poi io ho sempre meno bisogno delle cose, l'ho detto all'inizio. Quando non sarò nemmeno più un corpo saranno ancora meno. Saremo solo io, la mia convinzione e un boa di struzzo mancato. Perché? Ah, no, io il mio programma di disintossicazione semiserio non lo diserto. Tu fai quel che vuoi, io intanto scendo a fare la spesa che quell’uovo così solo proprio non posso lasciarlo, anche se è domenica. Anche se non lo è, ma ci assomiglia tanto.







[Grazie a Sario che mi ha regalato questa canzone in un giorno in cui non era domenica, ma ci assomigliava tanto]


23 luglio 2012

Sogno




“Le cose non serve che siano accadute per essere vere. I Racconti e i Sogni sono le verità ombra che dureranno quando i semplici fatti saranno polvere e ceneri, e dimenticati.”
[Sandman, N. Gaiman]


La carezza di sabbia scivola sui miei occhi chiusi, spalancati sul Sogno.
Tu sei qui, ancora una volta.
Non sei che ombra, meraviglioso pozzo scuro intagliato nel pallore discreto della notte.
La discrezione di questa notte non mi appartiene.
Ti appartengo, e tu lo sai.
Accade tutte le volte che le mie ciglia si schiudono sulla tua ombra muta.
Ti bacio così.
Lo senti, mentre la sabbia scivola e chiarisce il sogno.
Il tuo, quello che vuoi donarmi anche questa notte.
Adesso, che il Desiderio sta per cedere il passo alla Disperazione, vorrei restassi con me.
Non puoi, e io lo so.
Solo un sogno, quello che più desidero o temo.
E scivolerai tra le crepe di questa notte, come la sabbia tra le mie ciglia.
Non puoi lasciarmi che un sogno.
Non posso lasciarti che la mia volontà di viverlo.
Questa notte fa’ che sia io a decidere.
So di essere ardita nella mia richiesta, ma non ho che d’afferrare la sfrontatezza di questo istante per trovare il coraggio di chiederti l’unica cosa che vorrei.
Fa’ che io sogni di come sarebbe se tu restassi.
Una notte, soltanto una.
Sentiresti il calore delle mie labbra che si schiudono sulla tua pelle nivea.
Ti bacerei così, adesso.
E non saresti soltanto ombra, ma pelle, occhi, respiro, calore, brivido, vita.
Vita, la stessa che mi concedi nel sogno, quella che vorrei poter toccare, almeno una volta, insieme a te.
Resta, non permettere che il Destino di non poterti avere con me lasci il posto al Delirio.
Per una volta, parlami.
Non dei sogni che vuoi che io viva, rivelami chi sei, raccontami i tuoi sogni, quello che speri, desideri.
Dimmi di cosa hai paura.
Tu, che hai la Morte per sorella, cosa temi?
E ami?
Amami, solo questa notte.
Non perché te lo chiedo, ma perché lo desideri anche tu.
Tu che sai di me più di quanto io immagini.
Tu che conosci i nemici dei miei occhi chiusi e mi aiuti ad affrontare quelli che impediscono loro di aprirsi alla meraviglia, sottraendo i miei sogni alla Distruzione.
Tu che sei, semplicemente.
Sei qui, ti avvicini.
È la tua mano quella che scivola sul mio viso, disegna i contorni delle mie labbra e trova riposo tra le mie mani.
Le stringi e, per una volta, sei Tu.
Non più Signore del Regno dei Sogni, ma amato e amante.
Fragile, nella nudità della tua anima che trova nella mia il suo luogo naturale.
Ti abbandoni a me.
Me ne accorgo dalla difficoltà con cui lasci andare le mie mani.
Mi lasci andare, per ritrovarmi ancora.
In un altro sogno, uno dei tanti che destini a me.
Uno di quelli in cui tu sarai tutto quello che più desidero o quello che temo.
E non so distinguere se questa notte stia accadendo.
È vera, lo so.        
Mentre non sono che abbandono, tra le tue braccia.
Come tutte le volte che mi prendi con te.



La luna dalla faccia scura.


Immagine di AntoSuperBat


Se questo silenzio avesse voce, racconterebbe di noi. Di quello che siamo all’ombra d’un passo di tango, alla luce della luna. La luna dalla faccia scura di una notte d’agosto che spera, sospira. Tra i respiri di passi che danzano del silenzio senza voce alla luce della luna dalla faccia scura. Sicura, come l’ombra che spera. Respira. Un passo e una stretta. La luce disvela. La luna rivela la sua promessa serbata nel candore di un’espressione scura. Ha paura. La luna ha paura, mentre mente sicura su una notte all’ombra di una croce. Cicatrice di una notte senza luce, di una luna senza pace, di un silenzio che non ha voce. Se questo silenzio avesse voce, racconterebbe di noi. Di quello che siamo. Un passo e una stretta. L’ombra rivela. La luna dalla faccia scura non ha più paura. 





[ché l'ombra non è che una promessa di luce]

5 luglio 2012

ferite di luce

Hopper, Reclining Nude 1924–27 , acquerello



C’è una musica. Una musica lontana legata a due mani ancora slegate. Vicine, nella penombra all’ombra delle luci di un sentiero di candele e occhi fissi sulle ferite di luce. Poi ci sono occhi che non seguono gli altri, ascoltano la musica lontana legata a due mani non più slegate. Le mani sono vicine, gli occhi non molto distanti, ma ancora troppo per potersi incontrare. Nel quasi buio ferito di luce, sanguinano gocce di vita. Una alla volta, stillano dal pianto argenteo di occhi che non sanno di piangere. Sono occhi che aspettano di allontanarsi dal sentiero delle candele. Aspettano che le ferite non brucino più. Aspettano. Poi ci sono le labbra. E se ne infischiano della musica, delle candele e delle ferite. Loro non aspettano. Bevono tutta la luce che possono e delle gocce di vita che sanguinano si fanno riparo. E ci sono gli occhi. Non sempre si legano, qualche volta si lasciano andare per ritrovarsi nella ferita di luce di un bacio.




1 luglio 2012

C/O

Urban 17, Marianna Di Palma



Sono via da un po’, ho perso quella che un tempo era casa. Vorrei ri-trovarla e ri-trovare tutto ciò che giace, tranquillo, sotto le lenzuola bianche di un luogo disabitato. Con una luce nuova, la stessa di un sole d’estate che fa che nulla possa nascondersi. Presso me stessa, ecco dove mi piacerebbe abitare. Per ri-trovarmi, ancora.



[Grazie a Marianna Di Palma per aver affidato alle mie parole il suo dipinto, almeno per un po']