28 aprile 2011

tra le pieghe


 
Spirito di una lettera, Klee

Ho sempre avuto qualche difficoltà con gl' incipit. Solo con quelli ché poi lo sai che quando inizio non mi fermo più. Lo sai, tutte le volte che non prendo fiato per coprire ogni spazio possibile. Lo sai e, nonostante questo, non ci credi.
È che iniziare mi spaventa, ci vuole coraggio, tanto, e io non so se ne possiedo abbastanza. Quel poco che ho, però, non lo lascio andar via. Ogni volta che lo trovo, lo stringo tra le mani e inizio.
Non lo so se è proprio vero che lo stringa tra le mani, per la verità, non l'ho mai toccato, ma se dovessi scegliere un posto in cui sapere di trovare il coraggio, sarebbe proprio lì che vorrei fosse: tra le mie mani strette.
Forse perché è le tue che vorrei stringere e non posso, non riesco.
Se non ti trovassi?
Se fossi lontano, pur sedendomi accanto?
Qualche volta, anche quando siamo così vicini da riuscire a confondere i respiri, mi chiedo se tu sia davvero con me. È in quel momento che vorrei poter visitare i tuoi pensieri, ma mentre lo penso non so se ci riuscirei.
Il desiderio di abbracciare quel viaggio è forte, ma è nell'istante stesso in cui vive quel pensiero che lo lascio andar via.
Soffro quando penso a questo.
Anche se tu mi ascolti ridere, anche se parlo tanto, così tanto che, qualche volta, quando ti distrai, prendo fiato, sperando tu non te ne accorga.
Chissà se ci riesco, chissà se riesco a non farti capire che ho così tanta paura. Di me, di quello che provo, di quello che davvero vorrei dirti e non riesco.
Così stasera scrivo, ti scrivo e cerco di toccare anch'io quello che sento, per la prima volta.
Ti amo.
Te lo dico così, tutto d'un fiato, senza pensarci ché se mi fermo a pensare non lo dico più.
Non importa da quanto, non lo so, ma so che io c'ero e non avevo nessuna intenzione d'andar via. C'ero con i miei occhi che trovavano il loro sorriso sulle tue labbra, tra le mie dita che dimoravano nella perfezione dell'incastro con le tue, nel mio cuore al riparo nella stretta del tuo abbraccio forte.
C'ero e ci sono, adesso.
Adesso che non ho più paura, adesso che questo pensiero voglio lasciarlo andare, adesso che ti amo così tanto da esser pronta a lasciare andare anche te.
Con amore, ora lo sai e lo so anch'io.



[Testo inviato per l'iniziativa "Lettera d'amore mai spedita" proposta dalla Fandango: http://www.fandango.it/lacura ]

27 aprile 2011

D'improvviso

Giovane donna di spalle con capelli raccolti, Renato Costrini 

 

Siamo qui, ancora una volta insieme in questo incontro mascherato da scontro.
Mi guardi e sorridendo dici: «Ci conosciamo.»
Ti aspetti che sorrida anch’io, lo faccio per un istante e poi penso: Ci conosciamo?
Ti guardo e mi sembra d’incontrarti per la prima volta. No, non come la prima volta. Non ti conosco e tu non conosci me, adesso. Non sai chi sono, ora non più e chissà se tu l’abbia mai davvero saputo.
Quanto sei distante da quel pomeriggio di novembre in cui ci siamo detti addio?
Addio, come se bastasse dirlo per lasciarsi andare, come se cinque inutili lettere possano quietare il ritmo sfrenato di un cuore che non ha nessuna intenzione di far battere il tempo alla ragione.
«Ragiona» dicevi.
«Pensa» continuavi.
«Rifletti» cercavi di convincermi.
«Senti» ribattevo.
«Sta’ zitto e senti! Senti come batte questo cuore che ha un tempo tutto suo, senti come profuma questa pioggia che offre riparo all’ultima preghiera dei miei occhi».
E tu?
Tu ragionavi, pensavi, riflettevi.
E io?
Io sentivo.
Non ti riconoscevo, come adesso che con tanta facilità dici: «Ci conosciamo.»
No, non mi pare di conoscerti e mi chiedo anche se mai ci siamo incontrati davvero.
La prima volta sì, lì eravamo insieme.
Anche allora pioveva.
Pioveva tra le nostre mani strette nella prima promessa che ci siamo regalati, pioveva tra le labbra che sussurravano desideri di cui non riuscivamo a vergognarci, pioveva nell’abbraccio che ci univa ancor di più, nella stretta dei nostri vestiti bagnati.
Ci riconoscevamo, allora sì.
Io lo sentivo sentivi anche tu.
La stessa melodia, lo stesso ritmo felicemente disordinato, oltre ogni tempo, con l’unico tempo possibile: il nostro.
Tu, io e una partitura solo per noi.
Noi, nell’impazienza dei nostri corpi da scoprire, nella carezza di mani ormai esperte viaggiatrici di ogni singola linea dei nostri corpi, nella rincorsa degli sguardi in cui aspettavamo per lasciarci trovare.
Noi.
Sempre noi, in quel pomeriggio di novembre.
Pioveva. Non per stringerci in un abbraccio, per scivolare in un bacio o accompagnare la danza delle nostre mani.
Pioveva e la pioggia non era che custode discreta delle ultime note della nostra melodia.
Non più noi, ma tu, io e la ragione che pretendeva di dettare il tempo al battito del cuore.
Al tuo, perché il mio è sempre stato un cuore con un tempo tutto suo, che quando sa d’esser rimasto solo improvvisa: in modo originale, ma sempre a modo suo.
Così ti ho lasciato andare.
Ho lasciato andare te, i tuoi pensieri, le tue ragioni e riflessioni e ho continuato a sentire.
Siamo qui, ancora una volta.
Mi guardi, sorridi, aspetti.
Ti aspetti che ti riconosca.
Ti guardo anch’io e soddisfo la tua attesa.
«No, non ci conosciamo.»
«Aspetta.»
«Devo andare, il mio cuore non pensa d'aver tempo e ha una gran voglia d’improvvisare.»
È un nuovo per sempre che ti sto dedicando, e non importa che tu lo riconosca.






[Grazie a Noemi che mi ha regalato questa canzone e a questa storia che si è fatta raccontare]

9 aprile 2011

di notte

Door, Magritte


Bussa la notte. Tre pugni chiusi, stretti. Niente di più. Bussa e non è suono, ma rumore. Sordo. Come le parole che scivolano in una fessura di luce. Di notte. Tre pugni chiusi e un suono. No, è un rumore. Non senti com’è forte? Non senti com’è buio? Sono io. Mi riconosci? Tocca le mie mani. Tremano. Come questa notte che spia da una fessura di luce. Pallida. Come la luna che arrossisce. Lo sai perché arrossisce? È per non lasciare andar via l’imbarazzo del tramonto. Come me che nemmeno lo so perché mi coloro di rosso, mentre il mio viso fa concorrenza al pallore della luna imbarazzata. Toc, toc, toc. Solo tre pugni chiusi, ricordi? Stretti. E tu? Perché continui a vivere nel riflesso di una fessura di luce? Ci sono, mi vedi? Vedi, tutte le volte che il rumore è troppo forte, io mi stringo... No, non in un pugno: nel ricordo del tramonto. Se non te lo ricordi, guarda la luna oppure tocca le mie mani. Tremi. E non è perché hai paura. I tre pugni chiusi si son sciolti nel calore di una stretta. Due mani diventano una. La notte, adesso, suona.


1 aprile 2011

voli

Chagall, Cavallo blu nel cielo




Lo guardo. Sistema i pennelli nelle tasche dei pantaloni, ancora sporchi di colore. Dovrei arrabbiarmi, quelle macchie non svaniranno mai del tutto. Sorrido, invece sorrido. Un accenno di protesta nella curva di una smorfia, mentre lui mi dipinge il naso di blu.
Blu, come quelle malinconie che spezzano il silenzio di certe sere, mentre il suono tormentato d'una corda di violino le fa vibrare. Lo guardo, pensa sia già via. Seguo la sua mano che fa arrossire la tela immacolata, carezzandola a sanguigna. E sono lì, nell'istante tra la creazione e il sogno. E' qui, nei miei occhi che non riescono a lasciarlo andare. Mi guarda. Siamo nello stesso volo.