8 novembre 2016

Come fosse un gioco





Faccio un gioco che facevo da bambina: raccolgo tutta l'acqua che può contenere il palmo della mia mano e stringo forte per non farne scappare nemmeno una goccia. Lo faccio con gli occhi. Li stringo e cerco di non far scappare niente. Cerco. Chiudo gli occhi, ripercorro il tempo, lo spazio e tutte quelle cose che, se qualcuno non mi avesse detto che esistono, io penserei siano un sogno. Anche questo lo ha detto qualcuno. Da qualche parte, in qualche luogo, al mio fianco, ride chi, forse, non ho ancora mai incontrato, ma proprio nell'angolo più remoto di quel sorriso, che non fa niente per nascondersi, custodisce il segreto di tutte le domande che mi ostino a rincorrere e che mi lasciano sempre indietro. Ho il fiatone, anche se non mi sono mai mossa da qui. Per quanto ne so, potrei aver fatto mille chilometri o giù di lì in un secondo. Secondo me, se adesso apro il palmo della mia mano, ritrovo tutto. Spalanco gli occhi. Dove sono?

[Mi sto ancora cercando, chi mi cammina accanto, con quel sorriso sbilenco, sa dove sono. Troverò anche lui.]