23 giugno 2014

Appunti per Sghembestorie, una recensione di Maria Sardella



Mi accingo a commentare le Sghembestorie di Valentina Luberto, ed. Lettere Animate.
Sono assediata dalle cose da dire. Ma starò attenta a non svelare troppo.

Comincio dalla Sorpresa:

“Tutti hanno un sogno, anche noi stamattina ne avevamo uno: prendere il sole in pace senza che nessuno ci desse un bel calcio. Poi sei arrivato tu e il nostro sogno è sfumato.”
Pensi, ingenuo lettore, di essere su una spiaggia, affollata di bagnanti, sdraiati bellamente al sole, con bambini vocianti e mamme che li rincorrono? Credi che a parlare siano persone petulanti e intolleranti? Sbagliato. Siamo catapultati in una delle Sghembestorie di Valentina Luberto, per la precisione nel primo racconto, Una storia o su di lì. Parte da questo punto, o su di lì, il patto narrativo tra il lettore e le parole che danzano sulle pagine, mosse da un narratrice implacabile. Bisogna affidarsi a loro, lasciarsi andare in una dimensione surreale dove oggetti, persone, fenomeni naturali e persino concrezioni rocciose parlano, si indignano, protestano (è il caso di Era e Ora due pietre sul sentiero) e sognano. Insomma in questa e nelle altre Sghembestorie assistiamo con naturalezza e (apparente) levità a un processo di antropomorfizzazione (mi si passi il conio linguistico), nel quale azioni impossibili trovano il modo di essere agite con disinvolta ‘normalità’. Dopo i primi passi rinunciamo spontaneamente, senza che ce ne accorgiamo, alle coordinate di tempo, spazio, luogo, a cui siamo abituati e cominciamo anche noi a ragionare più o meno come i personaggi bizzarri e singolari di questi racconti.

Continuo con Letterarietà:

Ogni particolare diventa un ‘personaggio’, un elemento narrativo che vive di vita propria. Nel racconto “Piera e i suoi lacrimosi moti” quello che sembra essere il personaggio principale non è rappresentato in sé, ma è definito nella sua entrata in scena dalle movenze del suo deretano, anzi dal lembo di stoffa che lo ricopre con qualche difficoltà. La moka borbotta, la torta è un ricordo…
C’è vita nei racconti di Valentina. Una vita che ferve laddove non si crederebbe mai.
Per il nitore delle immagini ingenue, penso a Mirò. “Una melodia lontana raccontava, senza parole né voce, il blu di pensieri affidati alla faccia scura della luna che li aveva portati via con sé. Nessuno più riusciva a scorgerla tra le stelle, forse era fuggita, qualcuno pensava che l’avesse ingoiata il pozzo che nessuno vedeva.” da In una notte come tante e nessuna.
Per la ricchezza sorprendente  dei particolari che chiamano e richiamano l’attenzione del  lettore penso a Bosch, depurato della  perfidia e della mostruosità dei suoi personaggi. Ma come non pensare a Dalì, alle cui fantasticherie grafiche corrispondono le fantasticherie narrative di Valentina Luberto. Il mondo surreale e onirico di Valentina proviene da una duplice esigenza: la fantasia sbrigliata e tenace coniugata al persistente realismo. Ci troviamo di fronte a una proposta narrativa surreale che compone il verismo delle azioni con le situazioni paradossali.

Proseguo con Divertimento:

Anche i colori sono a loro modo protagonisti, in una cifra a volte trasognata a volte tragica: “La stanza rossa era lì”. La vediamo nella sua potenza, indiscutibilmente. Così come i giochi di parole che tradiscono il divertissement che si nasconde dietro ogni situazione inventata. I giochi di parole che si divertono essi stessi a rovesciare il mondo e/o l’immagine che se ne dà abitualmente. Vedi l’equivoco tra sole (astro) e sole (aggettivo) nel dialogo scombinato tra la Dama Sveglia e il Cavaliere Smemorato del racconto succitato. Un gioco ripetuto volutamente anche nei titoli. Cercateli e vi sorprenderete. Così è, se vi pare.
La meraviglia è il sentimento principalmente destato nel lettore. Le pietre Era e Ora parlano, la poltrona è di nebbia, gli abbracci sono elargiti da un solo braccio, una poltrona, un pianoforte, un ramo secco arrivato da chissà dove.  Una poltrona di nebbia che conduce nel mondo dei ricordi. Insomma, un mondo impossibile, ma talmente vero da rendere trascurabile il mondo reale. Usate la lente di ingrandimento: “È  stato un colpo di fulmine anche se era una bella giornata di sole”.
I racconti sghembi di Valentina Luberto, per utilizzare immagini care a Piera dai moti lacrimosi, sono come una cipolla da sfogliare, come un carciofo da rendere inoffensivo perché sveli il suo tenero cuore.

Concludo con Visione della vita:

Ne scaturisce una visione della vita: “Le certezze mi mettono ansia, preferisco vivere continuamente sospeso e in equilibrio precario” dice l’equilibrista in Lo strano caso delle X di Orsorosso. Ipotizzo che sia parte della visione dell’autrice, anche se lei non scrive mai a tesi, ma solo seguendo il suo estro narrativo.
Accanto ai fantasmi ci sono le sparizioni, sono tante e sempre miracolose o mirabolanti. Non sparire, mi raccomando, Valentina Luberto.  Aspettiamo altre storie che siano sghembe o no.


Maria Sardella



* Maria Sardella è Autrice di romanzi. "Così è la vita, amore mio", premio Città dei Sassi, Altrimedia 2009, e "La musica del mais", Bibliofabbrica, Brescia 2013. Traduttrice di Tahar Djaout con "L'ultima estate della ragione", Bibliofabbrica, Brescia 2009. Vive a Brescia.

2 commenti:

  1. Le mie parole per un bel libro. Dovessi riscrivere, direi cose diverse perché il bello di un libro riuscito è che lo puoi rivoltare come vuoi. Visto che è sghembo!

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    1. Maria, ma tu puoi scrivere altre mille recensioni, saranno tutte belle come questa e anche di più :D
      Grazie ancora, soprattutto, grazie perché hai davvero compreso le mie intenzioni senza che le rivelassi. Ti dico "grazie" perché questo significa che qualcuno ha raccolto le mie tracce e, di conseguenza, che quello che volevo raggiungesse il lettore riesce a raggiungerlo.
      Un sorriso per te!

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