16 marzo 2012

La cosa




La prima volta che l’ho incontrato avevo bevuto parecchio.
Da quando è successa la Cosa bevo spesso parecchio.
È apparso senza che me ne accorgessi, forse ero troppo bevuto per accorgermene. Seduto sul divano del mio soggiorno, come fosse la cosa più naturale di questo mondo, come se fosse sempre stato lì.
«Ciao David! David Burns, giusto?», ha detto sogghignando.
Chiunque fosse non mi faceva paura, niente poteva farmi paura dopo la Cosa, a meno che non sapesse.
La Cosa doveva rimanere segreta, nessuno doveva sapere, nessuno eccetto me.
«Chi sei?»
«Sono colui che sa.»
«Di che parli?»
«Della Cosa.»
Non mi ha lasciato il tempo di reagire che è scomparso. Nessuna traccia di lui se non un taglio sul mio divano, profondo come una ferita. Ho pensato che dovessi andarci piano con l’alcol e che scherzi come quello, prima o poi, mi avrebbero fatto crepare.
A pensarci bene, che importava: se fossi crepato la Cosa sarebbe venuta all’inferno con me.
Sarei stato di nuovo libero, all’inferno, ma libero.
Un’allucinazione, non poteva essere altro: l’uomo con gli occhi bui non esisteva.
Questione chiusa.
Ho smesso di bere per un po’, sono anche stato da uno strizzacervelli. Ha avuto poca fortuna con me, sapevo cosa scartavetrava il mio cervello ed era impossibile lui lo scoprisse, non gli avrei rivelato della Cosa nemmeno sotto tortura. Parlargli dell’uomo con gli occhi bui era fuori discussione: troppo pericoloso, la Cosa sarebbe potuta saltar fuori .
«Signor Burns, sono lieto di comunicarle che la terapia è giunta a conclusione con successo. Ha attraversato un forte periodo di stress che le ha causato un grave esaurimento nervoso che, però, grazie al suo impegno e al mio aiuto è perfettamente stato risolto. Ritengo possiamo sospendere le sedute, ovviamente, resto a sua completa disposizione per qualsiasi problema».
Bravo il mio strizzacervelli, te la sei bevuta tutta, fino all’ultimo sorso. Ventidue sedute da settanta dollari l’una, per consolidare la tua fiducia idiota nelle tue dubbie capacità terapeutiche e un mucchio di banalità che avrebbe anche potuto dirmi il telefono amico.
Ho mollato per sempre lo strizzacervelli, la bottiglia sapeva fare di meglio.
Mi sono buttato nel lavoro, devono pur servire a qualcosa quelle otto ore della tua vita, qualche giorno sono diventate anche sedici, ma che importava, io non dovevo pensare, dovevo dimenticare: la Cosa, l’uomo con gli occhi bui e anche me stesso.
Quando non penso, tutto fila liscio, quasi quanto lo scotch lungo la gola, e non brucia nemmeno più per quanto sono abituato.
Avevo anche una donna, Jenna.
La donna perfetta: bellissima fuori e predisposta all’eco dentro.
Tanto sesso e nessuna domanda, il massimo dell’impegno nella conversazione prevedeva un confronto sui complementi d’arredo più adatti a ingombrare  casa mia o le ultime tendenze sui colori della tappezzeria per i divani.
«Dovremmo sostituire il divano, David. Guarda, ha un taglio sul secondo cuscino a sinistra. È gravissimo! Corro a chiamare il miglior tappezziere della città, dovrei aver lasciato il numero in borsa, al piano di sopra. Aspettami e prepara un drink, non cederemo certo il divano senza averci giocato un po’…».
E mentre mi catapultava, inconsapevole, in un inferno che non conosceva, la stoffa che ricopriva il suo corpo scivolava lungo la ringhiera della scala che la inghiottiva nella penombra.
«David, ti trovo in forma. Bella la tua nuova amichetta, posso giocarci un po’ anch’io?»
«Ancora tu!»
«Credevi mi fossi dimenticato di te? Era troppo divertente assistere alle tue sedute per interrompere lo spettacolo. Simpatico il tuo analista, ingenuo, ma simpatico.»
«Sparisci, non abbiamo nulla da spartire noi due.»
«Dovresti avere più rispetto per me, David. Del resto, condividiamo un segreto.»
«Io non ho segreti!»
«E la Cosa? Io so tutto. Io sono colui che sa.»
«Va’ via o ti ammazzo!»
«Credi di poterlo fare?”
«Sono già all’inferno, non è una cella che mi spaventa.»
«Pensi sia davvero una cella il peggio che ti aspetterebbe? Povero David, godi di quel poco che hai finché puoi, anche della tua amichetta al piano di sopra, sembra appetitosa.»
«Cosa …»
Scomparso, sparito, dissolto. Ero di nuovo solo e dell’uomo con gli occhi bui nessuna traccia.
Non poteva sapere della Cosa, ero solo, nessuno poteva avermi visto. Nessun rumore, nessuna prova, nessuna traccia, ne ero sicuro. Nessuno, solo io. Solo io e la Cosa. Quella dannata Cosa!
«Orsacchiotto, sono pronta. Dai giochiamo. Sono il tuo divano, dovresti cambiarmi la tappezzeria. Toglimi quella che resta e baciami il taglio sul fianco sinistro. Guarirà, vero tesoruccio?»
Impossibile, non era possibile che stesse succedendo, Jenna sanguinava sul serio da quel taglio disegnato con una linea di rossetto.
Il suo riso si era trasformato in una smorfia di dolore, non riusciva neppure a gridare. In poco tempo giaceva sul parquet, esanime e con gli occhi sbarrati.
«Te l’avevo detto che avrei voluto giocare anch’io con voi due, David.»
«Cosa vuoi? Dimmi cosa cerchi da me.»
«A tempo debito, questo è solo una piccola dimostrazione di quanto il tuo concetto d’inferno possa arricchirsi. Non porre limiti alla fantasia, David.»
«Smettila di pronunciare il mio nome. Parla chiaro!»
Svanito nel nulla, ancora.
Jenna, qualche istante dopo, si era riavuta, come ai posteri di una sbronza. Rideva e passava il dito sulla traccia di rossetto sul fianco, sembrava ancora ubriaca ed era come se tutto quello che era appena accaduto, non l’avesse mai vissuto.
Stavo impazzendo, doveva essere questa l’unica spiegazione, ero sull’orlo della follia e a breve non avrei più avuto nessun contatto con me stesso.
Se la Cosa non fosse mai esistita?
Se l’uomo con gli occhi bui fosse solo una mia creazione?
Se io stesso non fossi che illusione?

No, la Cosa esisteva, io c’ero. Non volevo succedesse, quella sera ero capitato lì per caso, non mi aveva invitato nessuno né volevo essere lì. Dovevo dare solo il passaggio a quella bionda e andar via, ma aveva argomenti troppo convincenti per farmi esitare a restare. Una festa come tante: musica, belle ragazze, alcol e qualche aiutino per fare una puntata in paradiso e tornare indietro, solo per il gusto di ritornarci. La bionda in pochi istanti era sparita, poco male, c’era da bere e la giornata era stata pesante per prevedere un dessert in compagnia. Serata perfetta, se non fosse per quell’istante. Cercavo un posto tranquillo, lontano dalla musica, dalla confusione, avevo bisogno di riprendermi. Mi sono allontanato un po’ ed è successo. Credevo fosse colpa dell’alcol, della stanchezza, qualunque cosa, ma non avrei mai potuto immaginare che, quello che vedevo, stesse realmente avvenendo. In un angolo della villa c’era un punto che emanava una strana luce violacea, non sono riuscito a frenare la curiosità e mi sono avvicinato, barcollante. Un uomo dall’aspetto mostruoso stava risucchiando qualcosa dalla bocca di una ragazza stesa al suolo. Alla fine dell’operazione, la ragazza era scomparsa e l’uomo aveva mutato aspetto diventando giovane e prestante, ero distante, ma il mutamento era chiaro.
Sono corso via, nessuno poteva avermi visto, ero solo in quel punto e tutti erano impegnati in attività molto più piacevoli che seguire mie.
Avevo assistito qualcosa di assurdo, inconcepibile e mostruoso; mi ero chiesto innumerevoli volte se fosse stato solo un sogno, avevo anche provato a ritornare alla villa, ma a quell’indirizzo non c’era che una distesa di erbaccia incolta.
Un incubo, forse era stato solo quello, dovevo dimenticare e stava succedendo, quando l’uomo dagli occhi bui ha iniziato a visitarmi.


Ora sono qui.
Un mio amico mi ha portato a questa festa dove non conosco nessuno, il tempo d’entrare ed è scomparso al piano di sopra con una ragazza. Mi ha detto che mi avrebbe fatto bene, che mi sarei distratto.
C’è da bere, ottimo: l’alcol aiuta a socializzare e dimenticare.
Prendo due scotch, uno è poco, tre sono troppi, due è la quantità giusta, almeno a inizio serata.
La musica mi piace, se non fossi un pezzo di legno ballerei.
Mi guardo intorno, un occhio ai nuovi arrivi.
Entra un uomo, un uomo vestito di nero, il viso pallido, i capelli rosso bruciato, nessuna traccia di sopracciglia, gli occhi incavati e bui.
Si avvicina sorridendomi e dice che ci conosciamo.
Non ci conosciamo, ne sono sicuro.
Non l’ho mai visto.
Gli chiedo dove l’avrei visto e dice di avermi incontrato a casa mia.
È impossibile, non l’ho mai visto.
Dice di essere a casa mia.
Avrò ripetuto mille volte la parola impossibile in questi minuti, ma anche questo è: IMPOSSIBILE!
Lui non c’è, io non l’ho mai visto.
Lui è qui con me adesso, non può essere a casa mia.
Prende il telefono, me lo porge e mi chiede di comporre il mio numero di casa.
Lo faccio, non so perché, ma lo faccio.
Mi risponde una voce: è lui!
“Dov’è il trucco?”, gli chiedo.
“Chiedimelo” mi risponde, la voce.
Glielo chiedo, gli chiedo come sia entrato a casa mia.
La voce al telefono dice che sono stato io a invitarlo.
L’uomo della festa mi dice di restituirgli il telefono, io faccio per chiudere e inizia a ridere, insieme alla voce: la risata più agghiacciante che abbia mai ascoltato.
Mi guarda con gli occhi spalancati e il ghigno beffardo, mi dice: “È stato un piacere parlare con te”.
Va via.
Io resto lì, so chi è lui. Lo conosco, anche se ho detto di no, io lo conosco.
È l’uomo con gli occhi bui ed è qui per ricordarmi della Cosa.
Non mi mollerà mai a meno che non sia io a mollare lui.
Lascio la festa, salgo in macchina e guido fino all’indirizzo della villa.
La villa c’è, di nuovo!
Entro, ritrovo la bionda dell’altra volta che mi sorride.
Vado dritto all’angolo, luce violacea, come quella sera.
Ancora lui, chinato sulla ragazza di turno, le succhia qualcosa dalla bocca, lei scompare, anche lei.
Stavolta non scappo, resto lì a guardare, voglio guardarlo in faccia, sento di non avere più nulla da perdere.
Si alza, si avvicina alla luce del lampione e ne posso distinguere i tratti del viso.
Non posso crederci, non sta realmente accadendo, è impossibile, lo dico per l’ennesima volta questa sera.
Io lo conosco, molto più che qualsiasi altro, forse non lo conosco affatto: sono io!
Mi avvicino, devo toccarlo, non ci credo, lui sorride, l’altro me sorride.
Compare l’uomo con gli occhi bui.
«Ci vediamo ancora, David.»
«Cosa significa tutto questo, chi è lui?»
«Sei tu, David, non ti riconosci?»
«Non posso essere io, io sono qui.»
«Tu credi di essere qui, ma sei lì. Il vero David non sei tu, ma lui. Tu sei soltanto una proiezione, un’illusione.»
«Non è così.»
«Povero David. David e le sue convinzioni.»
«Smettila di ripetere il mio nome, non sono convinzioni, ma dati di fatto, realtà!»
«Io stesso sono una tua illusione, mi hai creato tu. Essendo una creazione della tua mente, l’unico modo per eliminarmi sarebbe eliminare te stesso. Fallo, sopravvivresti perché tu, come me,
non esisti.»
«Pur di porre  fine a tutto questo, interromperei la mia stessa vita con le mie mani. Credi abbia paura? No che non ho paura. Morirò, ma verrai all’inferno con me!»

Da quella sera, di David Burns non si sono avute più notizie, il suo corpo non è mai stato ritrovato. In una giacca, abbandonata sul divano del suo soggiorno, un indirizzo. La polizia, in fase di ricerca, ha verificato l’indirizzo e, raggiunto il luogo, non ha trovato che una distesa deserta abitata solo da erba incolta.
Nessuno sa che fine abbia fatto. I suoi amici più cari raccontano soltanto che, da qualche tempo, fosse sfuggente e misterioso. Si diceva in giro che organizzasse feste in ville molto lussuose, feste di cui non ricordava nulla e a cui negava d’esser stato. Nessuno sapeva cosa accadesse a quelle feste e se esistessero realmente, nessuno che lo conoscesse è mai riuscito a prendervi parte. Nessuno che fosse ancora in vita per poterlo raccontare. 



Nota: Questo racconto trae ispirazione dalla scena del film "Strade perdute" di David Lynch, che propongo a seguire e che è inserita all'interno dello stesso, come citazione. Il racconto non segue in alcun modo la trama del film:




Nessun commento:

Posta un commento