14 dicembre 2011

Giovedì





È giovedì.
In un luogo che non è importante sapere, in un mese che possiamo anche non dire, in una vita che l'ha visto arrivare, senza più ricordare da quanto lo aspettasse.
Aspettava, non sapeva se sarebbe stato proprio un giovedì, non era importante, purché arrivasse ed era arrivato.
All’improvviso, segnato con tratto incerto su un foglio, ormai sgualcito dall’attesa, quasi stinto sulla carta, ma non nei pensieri di Lei.
Non aveva dimenticato, non poteva né voleva, ma l’aveva confinato in quell’angolo del cuore che si fa finta di non ricordare di visitare.
Qualche volta, però, Lei c’era stata. Distrattamente, stando attenta a non toccare niente ché si sa: certe cose è meglio non spostarle con il rischio di tirar su qualche macchia o comunque un po’ di polvere.
La macchia c’era, non era mai andata via, neppure la più spessa coltre di polvere, sedimentatasi nel tempo, avrebbe potuto nasconderla.
Quella macchia era lì e Lei la vedeva, lo sapeva.
Aveva penetrato le trame del suo cuore per dodici lunghi e dolorosi anni, conquistando, nel tempo, sempre più spazio, fin quasi a soffocarlo.
Lei e la sua macchia, Lei e quell’amore che non la lasciava andare.
L’aveva legata a sé nella bellezza dei suoi diciotto anni, nell’incoscienza che schiaffeggia la ragione e affonda, bramosa, nella passione.
Senza paura, l’aveva amato, con il cuore che le gridava di voler esser sua, con le promesse che non si curano dell’incertezza del cammino, con quel corpo che fioriva nella fusione con l’altro, indissolubile parte di sé.
Lui era il suo presente vivo e il suo futuro da sognare.
Lui l’amava, a Lei bastava questo per non aver paura.
Non ne aveva mai avuta, neppure quando un giorno sentì il suo cuore battere per due.
La notizia della vita, per Lei.
L’intralcio ai suoi programmi, per Lui.
Lei, continuava a non aver paura, continuava a raddoppiare i suoi diciotto anni anche per Lui.
Lui era con lei, ma già non c’era più, rincorreva i suoi desideri senza fermarsi a cullare quel sogno, che batteva all’unisono con il cuore di Lei.
Il futuro di Lei nel suo ventre.
Il futuro di Lui nelle sue dita votate alla musica. Una passione da inseguire nella totale libertà del cuore e del corpo, la passione della sua vita,  più forte della vita stessa.
Un futuro che non li avrebbe visti insieme.
È giovedì, in una vita che non si è più abbandonata all’amore, nel tremore di due mani che non riescono a riposare.
Un biglietto, poche parole e un appuntamento a cui decidere se voler appartenere:

Ho solo la speranza che tu voglia ascoltarmi.
Null’altro che questo e la consapevolezza tu possa negarmelo.
Capirei, soffrirei, ma capirei.
Giovedì sarò da te, spero tu mi permetta di vederti, per me sarebbe importante.


Lei e i suoi pensieri in questo giovedì, le sue paure che le stringono il respiro, la rabbia che zittisce il cuore, le mani che non riescono a smettere di cercare qualcosa da poter torturare, le gambe che percorrono quell’attesa come su una distesa senza fine.
È nervosa, se potesse accarezzarsi le ferite, le vedrebbe sanguinare come dieci anni fa, ma non può neppure medicarsi, sanguinano e non le può tamponare.
Ha imparato a sopportare il dolore.
Ha dovuto farlo soprattutto per quella vita che ha voluto stringere e sollevare con le sue sole braccia.
Quella piccola vita venuta al mondo senza chiedere il permesso, era stata la sua forza, l’unico dono di Lui, cui non avrebbe mai voluto rinunciare.
Adesso è giovedì, stride nel tintinnio del campanello e nelle esitazioni di Lei.
Lei e il suo appuntamento.
Lei e il suo giovedì cui ha deciso di appartenere.
“Andrà tutto bene” si dice, mentre affonda la maniglia e spalanca lo sguardo su di Lui.
È lì, la guarda come se il tempo non fosse trascorso, con gli occhi adombrati da qualcosa che ancora non sa spiegarsi.
Lo guarda, lo sguardo è rigido, severo.
Gli parla, il tono della voce è duro.
Lo ascolta, distante, senza riservargli nessuna amorevole accoglienza.
Lei è lì, immobile e ha una storia da ascoltare.

Ascolta la storia di un ragazzo che amava, a cui sentiva d’appartenere. Il compagno di un cammino pieno di promesse da realizzare. Colui che la stringeva nel suo presente vivo e l’avrebbe accompagnata nel suo futuro da sognare. Il padre di quel cuore che, dodici anni prima, batteva insieme al suo.

Ascolta la storia di un ragazzo che aveva una passione, una passione che non era lei. Aveva un sogno, ma non era con lei. Voleva un futuro, ma non in quella piccola vita che stava venendo alla luce.

Ascolta la storia di un giovane cuore pentito, di un uomo che ha realizzato il sogno della sua vita, perdendo per sempre l’amore, di un padre che si è accorto tardi di avere un figlio da amare. Di un cuore ormai solo.

Ascolta la storia della preghiera di un perdono, difficile da donare.

Lei ha ascoltato, ricordato, guardato in faccia quel dolore che non la lasciava andare.
Non riesce a perdonare, non riesce a voler essere parte di un altro dolore. Un dolore che non sente suo.
Guarda Lui, per l’ultima volta, sapendo dell’impossibilità di un ritorno, senza sentirsi in colpa.
Uno sguardo a quel passato che, adesso, può lasciar andare e la voglia di guardare avanti per poter vivere, senza doversi più fermare a ricordare.
È un giovedì che sta per andar via, non importa in quale luogo o in quale tempo, ma nella vita di Lei è un giorno nuovo da cui poter ripartire.






[A questo racconto è stato assegnato il terzo premio del concorso letterario "Caffè Blues", organizzato dall’"Art Cafè" di Maglie (LE) ]


2 commenti:

  1. E brava Naimablu e il suo "giovedì". Qualche giovedì, non necessariamente così drammatico, c'è nella vita di tutti, credo. L'importante è non tenercisi stretti e sapere accogliere il venerdì e il giorno dopo ancora, chè la vita qualche giorno bello prima o poi ce lo concede. Un bacio.

    Giulia (ossia la nobiltà decaduta già da un po'. ;)

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  2. Siamo qui per i giorni belli, per desiderarli e viverli.
    Grazie "viscontessina" mia :*

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