28 gennaio 2010
26 gennaio 2010
sulla verità ed altre bugie
La verità è che il tempo ritorna, ritorna con lo stesso freddo pungente di quei giorni, gli stessi odori e lo stesso maglione rosso, solo che gli occhi sono un po’ diversi. La verità è che vorrei che questi giorni fossero giorni come quelli: con un regalo da scartare tra le mani e l’espressione curiosa e dolcemente spaventata. La verità è che nemmeno lo so quanto tempo è trascorso, a me sembra ieri, ma no, non è ieri è molto di più, troppo di più. La verità è che il tempo non mi lascia in pace, faccio di tutto per distrarlo, ma lui ritorna e mi parla, torna e non vuole mollarmi. Lo mollo io! La verità è che faccio finta. La verità è che, se potessi, sposterei indietro le lancette, anche solo per ritrovare quegli occhi e quel sorriso. No, non credo scapperei via, nonostante tutto. La verità è che il tempo ritorna, sì, ma tiene sempre qualcosa per sé e magari prende proprio quello che vorremmo indietro. La verità è che io, indietro, vorrei proprio quegli occhi e quel sorriso, niente di più. La verità è che la verità è un punto di vista, un compromesso tra il coraggio di accettare e quello di chiedere. Non ho paura di chiedere, sono stanca di accettare: è questa la verità! La verità, tutta la verità, nient’altro che la verità appartiene allo spazio ocra tra un rivolo e l’altro d’inchiostro che se potesse dire, ma non dice, si perde, scorre e si perde, come queste parole che, per la verità, la verità non fanno che smarrirla.
[Tutta questa non è che la verità, una delle tante bugie.]
18 gennaio 2010
se
Se spengo tutte le luci ci sei tu. Se accendo una piccola luce, così piccola da non riuscire quasi a percepirla, tu, ti nascondi. Se animo con figure d’ombra quella piccola luce, tu, non resisti e vieni fuori. Solo un po’. Mi sfiori, accarezzi le mie storie d’ombra e luci. Sei con me. Resti con me, solo il tempo d’una improbabile danza tra il ranocchio e la principessa. Un po’ più di un po’. Se il ranocchio e la principessa dormono e le mani scivolano stanche, ma felici, lungo i fianchi, tu, le prendi con te. Mi prendi con te. A luce spenta, nell’unico spazio in cui vivi. Ombra e luce, danza di mani, sorriso serio acceso nel buio.
11 gennaio 2010
zuppa di stelle
Colgo due stelle in questo silenzio bianco e le inzuppo in pensieri glicine e cannella. Un sorriso e un cerchio nella prima stella, la seconda stella sorride dell'indizio di luce su labbra ciliegia. Mi fermo. Solo un po', solo il tempo di mangiare stelle intinte in pensieri profumati. Riparto, c'è una terza stella da cogliere ed un pensiero d'ambra ancora tutto da bere.
d'appartenenza e non
M’appartiene l’ostinazione nell’uso di una matita B2, destinata al chiaro scuro,per scrivere pensieri. Sono chiaro scuro anche loro ché tutto non è che meravigliosa mescolanza di luce e notte. Così, traccio tratti con precisione, con mano ferma e decisa per poi sovvertirne l’evidenza geometrica ammorbidendone i contorni e sfumandone l’intensità del colore con le dita. M’appartengono piccoli gesti come questi, fatti di pazienza, elusione dal tempo e amore. I contorni si sfumano con la giusta commistione d’anima e corpo. Le dita accarezzano il tratto deciso e, dopo un po’, questo s’addolcisce. Non m’appartengono carezze d’abitudine o circostanza, le mie, son sempre carezze d’amore, anche solo nella sfumatura d’un chiaro scuro. Ne sono sicura? Riporto alla mente la mia difficoltà anche solo di sfiorare un tratto e dico che: sì, ne sono proprio sicura! Non ho mai calcolato matematicamente una distanza spazio-temporale, non m’appartiene. Ho sempre considerato questo genere di distanza una risorsa più che un problema. Una possibilità. Ripenso alla brocca e penso che il senso della distanza, io, l’ho sempre trovato lì. Pensate ad una brocca vuota, è in terracotta [ io l’ho sempre immaginata così] ed ha un bel manico arrotondato; ebbene, io ho sempre visto il corpo della brocca molto più vicino all’acqua che può contenere che al manico con cui convive sempre.Anche quando la disegnavo da piccola, a disegno concluso, il manico mi sembrava sempre distante, bello, attaccato al corpo della brocca, ma distante, come se fossero diffidenti l’uno verso l’altra, due mondi vicinissimi, ma lontani. Ho sempre creduto alla brocca vuota appartenesse molto di più il pensiero dell’acqua da contenere che quel manico, ma questo pensiero, appartiene a me, ne sono consapevole, ho anche domandato a riguardo, tanti danno per scontata la vicinanza corpo della brocca–manico e nessuno vede quanto alla brocca manchi l’acqua.Questo pensiero, come tutti quelli che ho disegnato su questa pagina, fa parte di quelle piccole e quasi invisibili cose che la mia matita disegna con cura, pazienza e amore, sfumandone i tratti, chiedendo aiuto alle carezze delle dita, senza pretendere e volere che qualcun altro debba necessariamente capirli.
il sogno blu d'una chiave in una notte di mare nero
Cosa sogna una chiave di notte? Un sogno blu. Cosa dice un sogno blu d’una chiave di notte? Silenzio, sto sognando! E nel silenzio, nel silenzio cosa c’è? Un cigolio, null’altro. Chi è? È il vento. Nel vento ci sono due pesci, uno rosso, l’altro azzurro. Si sfiorano, ma neppure si guardano. Non si parlano? No, sono muti. Muti come pesci? No, sono pesci muti e basta. Il punto è che non si incontrano. Mai. Oltre il punto c’è il mare. È nero con le onde disegnate con il gesso bianco. La chiave stanotte sogna. Dal sogno blu cola del rosso. Chi ce l’ha messo? Il vento. Il vento ci mette sempre del suo. Il mare s’è seccato, dei pesci solo un'impressione, il lucchetto ha una crepa e dalla crepa cola del rosso. Cosa sogna adesso la chiave? Due pesci, uno rosso, l’altro azzurro. Si incontrano senza neppure sfiorarsi. Negli occhi.
baciami
Baciami. Bacia quel respiro d’anima che nessuno sa, quello in cui accado quando nessuno mi vede. Bacialo come se le tue labbra sfiorassero per la prima volta l’ impalpabile sostanza d’un sogno, per me lo sarebbe. Ti sei mai chiesto dove sono quando sorrido, quando spalanco gli occhi, quando piango e non riesco più a fermarmi, quando ti guardo appena prima di abbracciarti, quando, mentre ti stringo le mani, ti dico: baciami! Raggiungimi e baciami, bacia quel respiro d’anima che nessuno sa, che nemmeno io so. Come fosse il tuo primo bacio, per me lo sarebbe. Regalami quel bacio leggero ed incornicialo nell’alone profumato della luce soffusa d’una candela.
voli ad occhi aperti
Volo via. Metto la coda d’aquilone più bella che ho, quella di fili d’erba vestiti di rugiada intrecciati a code di comete. No, non sono una cometa: lei cade, io volo. Volo via. Vado a vedere cosa c’è oltre il mare che ingoia il sole quando sembra un uovo sodo, quando vedi che scompare e ti chiedi se ai pesci piacciano le uova. Volo via ché tanto lo so fare, chiudo gli occhi e lo so fare, apro gli occhi e lo so fare ancor di più. Volo via. Ho deciso. Volo oltre l’istante in cui le spalle si voltano o lo sguardo non riesce più a saltare l’orizzonte. Non son brava a saltare e la ruota proprio non la so fare: io so volare, soltanto volare.
imbarazzo ciliegia
Sai, oggi sarebbe bello anche solo sapere che mi aspetteresti alla stazione, sorriderei al solo pensiero di correre a prendere un biglietto e saltare su un treno. Destinazione? Io davvero non saprei, mi basterebbe sapere di averti accanto e sognare tranquilla tra le tue braccia. Giocheresti con i miei sogni facendoli scivolare tra le dita e veglieresti il mio sorriso trasformandolo in un bacio al mio risveglio. Mi manca l'attesa, non un'attesa qualsiasi: quella attesa. Mi manchi tu. Non è facile dirtelo, per farlo ho dovuto nascondere tutto il mio imbarazzo nel maglione color ciliegia che se mi accarezzi il viso e sfiori le labbra con le dita puoi assaggiarlo per quanto è rosso.
giallo
È appena giovedì. È arrivato sottovoce, senza far rumore, per non disturbare. Li riconosco certi giovedì, non vogliono dar noia: arrivano, salutano e poi s'adagiano sul letto di luce gialla offerto da un lampione. Mi piace la luce gialla dei lampioni, quando non è giaciglio, si fa manto accogliente ed io me ne accorgo. Stringo le spalle, incrocio le braccia e le accarezzo per farmi calore. Mi sento. Sono calore, sono piccola stretta di spalle protetta dall'abbraccio di una luce gialla. Sono colore. Giallo, come il pensiero che stringo a me, come una sera dipinta d'autunno soffiata tra i respiri di un'armonica. Giallo, come il colore che mi manca, come te che non lasci questa appassionata melodia d'armonica. Come me con te, quando di quei respiri abbiam fatto colore. Giallo.
86400
Le lancette che si ricorrono sull’orologio, riescono a stare insieme soltanto sessanta secondi, lo scrivo così: sessanta secondi, invece che un minuto. Sembra di più. Sembra, in realtà è sempre e solo un minuto, ma le lancette, di minuti insieme, in una giornata, ne trascorrono ventiquattro. Sessanta secondi insieme, poi, cinquantanove minuti lontane e di nuovo, dopo tremilaseicento secondi separate, un minuto insieme. Meglio dire: cinquantanove minuti separate e sessanta secondi insieme per ventiquattro volte in una giornata. Sembra di più o di meno: punti di vista. Sembra. Il tempo sembra, oppure è? Pensavo fosse, invece, qualche volta può sembrare, oppure si può perdere e non trovare più. Dov’è finito? Dove lo hai messo? Io non lo trovo più, sotto il letto non c’è. Dov’è? Mi sembra di averlo visto. No, l’ho perso dinuovo. Sembra, ecco, sembra! Le lancette stanno insieme solo per sessanta secondi ogni cinquantanove minuti per ventiquattro volte in una giornata. Ben ottantaseimilaquattrocento secondi, detto così sembra davvero tanto! Sembra, oppure è tanto? E cosa fanno le lancette quando non sono insieme? Una cammina a passo svelto, l'altra aspetta che la prima la raggiunga muovendosi a piccoli passi. Sono tristi quando non sono insieme? Non lo so, loro si rincorrono e basta. Alle lancette, forse, va bene, loro sono contente così, per loro un minuto per ventiquattro volte è abbastanza! E io? Io, cosa dico? Dico che c’è qualche minuto impigliato nel giro delle lancette che si rincorrono che a me è sembrato davvero tanto, che sembrava quasi scorrere troppo in fretta, oppure sembrava non scorrere mai e io, con tutta la convinzione che potessi, l’ho vissuto come se fosse. Forse lo era sul serio, quello che posso dire con tutta la serietà di questo mondo è che a me gli incontri delle lancette non piacciono. Preferisco passeggiare senza l'orologio e non sapere tra quanto e per quanto rimarrò impigliata tra le gambe delle lancette che si rincorrono; senza curarmi di tutto quel loro affanno per essere puntuali a uno di quei loro sessanta secondi in cui smettono di essere due e diventano uno. Tutto questo, lo dico con un sorriso, per quello che posso e in non più di sessanta secondi.
graffi
Al centro d’una stanza d’ovatta.
Imprimo
sulle pareti battiti d’ali di farfalla.
Nel silenzio
armonia d'affondi di mani nel bianco.
Cerco luce.
Tra le dita raggi di vita soffiati da fari in corsa
e i miei pensieri graffiano il vapore.
incanto
Mi farei incanto per quel fanciullo che, in te, brama l'incanto con meraviglia. Ché coi fanciulli, la ragione ha poco conto: quegli occhi, senton solo la ragione dell'incanto. Io stessa, fanciulla, abbraccerei con te il desìo degli occhi che stringon la magia dell'anima svelandone, nel silenzio di uno sguardo, i più segreti suoni.
10 gennaio 2010
il bacio nel pozzo
Ho lasciato un bacio in un pozzo, ondeggia nel cerchio di latte che bagna le sponde della sera. Racconta, nel silenzio buio del pozzo, piccoli segreti nascosti tra pieghe di latte. Riverbero d’un bacio, rapito da un cerchio di latte, voce sottile del silenzio buio d’un pozzo.
attese
Porto con me i tuoi occhi
ché oggi quando mi sei venuto incontro
non eri che quelli
Occhi scuri e sorriso spigoloso
che quasi mi tagliavo
che quasi dicevo
"Ahi"
L'avessi detto...
"Ahi"
avrei frantumato il cubo di ghiaccio
"Ahi"
e il tempo sarebbe scivolato via
Proprio come oggi
che traccia una linea curva e un uncino
sulla condensa dello scambio dell'uno col due.
[Non è colpa mia, io c'ero era il tempo in ritardo di uno]
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