Jacek Yerka
C’era una volta un posto. Un posto che per tanti era un
posto qualunque, ma per lei no. Lei se lo ricordava quand’era nato perché ci
sono posti che ci sono da sempre e posti che nascono e per nascere hanno
bisogno che si sia almeno in due. Due non è un posto, forse per un po’ lo è
anche stato, ma due è un numero. Il due significa anche che c’è qualcuno che
parla e l’altro che ascolta, poi, quello che ha parlato fa silenzio e quello
che ha ascoltato inizia a dire. Cosa si dicono? Tante cose, tutte quelle che
servono a non diventare mai uno. L’uno è sempre solo, parla e ascolta sé
stesso. Finisce con l’annoiarsi, ci scommetterei tutta la collezione di
tartarughe ninja che non so nemmeno dove sia finita, ma nei ricordi la trovi
di sicuro. Nei ricordi sono un po’ in buona compagnia e un po’ no, ma la storia
dei ricordi è troppo lunga e tristeallegra,
la racconto un’altra volta. C’era lei,
una volta, che era ritornata in quel posto in cui non era mai stata un uno,
aveva ascoltato, aveva detto e qualche volta aveva anche giocato con le parole.
Non tutti sanno giocare con le parole, ci vuole una certa predisposizione alle
allucinazioni a occhi aperti e senza prendere sostanze stupefacenti, l’unico
stupore possibile è la meraviglia, ma quella o ce l’hai o puoi scordarti di
giocare con le parole e divertirti. Lei
ci giocava e si divertiva. No, non fumava niente, anche perché il fumo le
faceva venire la tosse e la tosse non è proprio una cosa carina. Quel giorno in
cui era ritornata in quel posto non l’aveva riconosciuto più. Il colore era
lo stesso di un tempo, c’erano sempre le sue parole, ma il suono non era più un
suono, bensì un fastidioso e sciocco gracchiare. Inoltre, c’erano tante persone
che lei non aveva invitato e che riempivano quel posto di parole, ma senza
saperci giocare neanche un po’. Un altro segreto per divertirsi con le parole è
che devi trovare un compagno di giochi che sappia inventare un codice segreto
insieme a te, altrimenti le parole diventano di tutti e i posti speciali non
possono avere parole che sono di tutti. Si era fatta un giretto, aveva visto da
lontano qualcuno che conosceva, ma che non riconosceva più, forse non l’aveva
mai conosciuto fino in fondo. L'altro gracchiava insieme a tutti i non invitati e
lanciava parole a caso nel mucchio senza divertirsi. In quel momento, in quel
posto speciale, che speciale non era più, lei si era sentita un uno. Un uno? Sì,
un uno così solo che la noia era così tanta che se la stava divorando come un
topino divora un pezzo di formaggio temendo di finire in trappola da un momento
all’altro. Un uno? Giammai! pensò, e nel tempo d’uno starnuto quel posto
gracchiante lasciò. Non tutti vissero felici e contenti, ma lei, dopo un po’ di
malinconia, sì.
Ritornare all'uno... è un momento necessario e inevitabile, a volte. bel giro di parole e pensieri.
RispondiEliminaSì, soprattutto quando l'altro non lo riconosci più :)
EliminaUn abbraccio :*
wow... che meraviglia di post, intenso, emozionante, pullula di voci, emozioni, sensazioni, solo questa frase, poi ... "l’unico stupore possibile è la meraviglia" ha in sè un mondo... una vita... una verità immensa.
RispondiEliminae ritornare all'uno, così come leggo... si a volte è necessario, quando non ci si ri~conosce più, perché quell'uno, forse, così... può divenire, simboleggiare magari un nuovo principio
splendida come sempre *
Ciao albafucens!
EliminaGrazie a te :)