Sono appena tornata dall’ufficio postale. Amo gli uffici
postali, credo di averne visitati un mucchio, in ogni città. L’ufficio postale
ti permette di raggiungere qualcuno di speciale con un pensiero che potrà
stringere tra le mani, insomma è un po’ come se il destinatario del pensiero stringesse
te. Mi sono meno simpatici quando devo pagare bollette o fare file
interminabili, ma anche in quei casi trovo qualcosa da fare per distrarmi
oppure lo trovano gli impiegati delle poste che, un paio di volte, volevano
farmi fidanzare con qualcuno… va be’. Sorrido. Questa volta non c’era da
inviare nessun pensiero, non c’era nemmeno da attendere. C’eravamo io e una
faccenda da sbrigare. Ho appena tolto il cappotto che mi sembra assurdo dover
indossare in questo periodo, ma il freddo di questi giorni mi ricorda che di
certezze nella vita ce ne sono ben poche e che farei meglio ad abituarmi all’idea.
Lascio la mia camera per andare a sedermi sul divano rosso nella stanza a
fianco. Faccio poco caso a quello che mi circonda, ho con me tre fogli bianchi,
una penna e l’intenzione di scrivere quello che ho promesso avrei scritto. Devo
rispondere a una domanda: “Cosa rischierei se accadesse quella cosa?”. La risposta che scrivo immediatamente è: niente! Lascio
andare la penna, guardo verso il balcone e mi chiedo perché il sole oggi sia
così indeciso. Indeciso, e io? Io sono davvero così convinta di quel: niente?
Riprendo la penna, sistemo i fogli bianchi e ricomincio a scrivere. Quel niente
inizia a trasformarsi in qualcosa. Prende spazio, sempre più spazio e io penso
che quello che ho destinato alle invasioni emozionali è davvero poco per poter
contenere sul serio quel “niente che è diventato
qualcosa e che se non lo fermo chissà cosa diventerà”. Sono le 12.10, sto
ancora scrivendo e so che tu che leggi ci avrai capito poco, ma ti assicuro che
io ci sto capendo ancor meno di te. Mi sento in compagnia, adesso.
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